L’incontro con la Giuria Giovani apre la seconda giornata del Siloe Film Festival

Dopo un’intensa giornata di apertura, il Siloe Film Festival prosegue con ulteriori proiezioni e un ricco programma di conferenze e incontri.

Foto di Margherita Bagnara

In seguito alle proiezioni di ieri pomeriggio i giurati si sono confrontati con grande interesse sui temi dei corti in concorso. Dalla speranza nel futuro in barba a uno dei più efferati attacchi terroristici del nostro secolo ne L’Avenir, alla tensione di Madre, passando per la fulminea parabola di vita di Backstory e il colpo di scena spiazzante di One Second, ognuno dei film proiettati ha suscitato riflessioni e fornito materiale per accese discussioni.

La seconda giornata del festival si è aperta con un incontro con la Giuria Giovani, composta da 12 ragazzi (dai 18 ai 25 anni) selezionati in base a una lettera motivazionale e un curriculum.

«L’incontro con la Giuria Giovani è un momento a cui tengo molto, del resto chi più dei giovani può e deve parlare di speranza?», così Fabio Sonzogni introduce il dialogo tra Giuria Giovani e pubblico. Il direttore artistico propone dunque ai giovani giurati di prendere le mosse da una definizione del tema di quest’anno: «Cos’è la speranza?».

Molteplici le opinioni e le riflessioni. Diverse tra i ragazzi le voci che ritengono la speranza qualcosa di intrinseco alla vita stessa: «Nel momento in cui non c’è speranza non c’è vita», riflette Cassandra Baldini. Nel corso dell’incontro si è posta come centrale la questione della speranza come motore dell’agire: c’è ancora oggi il coraggio di sperare, e soprattutto di agire in base alla propria speranza? «Penso che una certa rassegnazione caratterizzi il nostro tempo. Ciò non vuol dire che ogni speranza sia perduta, ma allora cosa ci impedisce di arrabbiarci, di agire concretamente?», interviene Inrica Tudor. Se sembra condivisa la percezione di un “vuoto di speranza” tra le nuove generazioni, Lapo Frosali della Giuria Giovani insiste nel differenziare tra l’Occidente e Paesi le cui condizioni disperate non impediscono ai loro popoli di sperare: «Noi occidentali siamo viziati, ubriacati da un benessere che per definizione non ci soddisfa mai. Non ci accontentiamo più della semplicità, di dire “mi accontento di essere vivo, di alzarmi la mattina”. Non ci riusciamo perché siamo chiusi, condizionati dalla carriera, da desideri complessi, tendiamo sempre a vivere in un’illusione. Mi ha colpito molto, in Alganesh, quando arriva un camion pieno di immigrati che scendono col cuore in mano, contenti di aver raggiunto la libertà, una vita pulita. Siamo in grado, noi occidentali, di provare quello stesso sentimento?».

Concorda Sonzogni, che osserva la mancanza di un progetto comune, condiviso da una collettività: «Il tema di quest’anno mi è venuto in mente leggendo Il principio speranza di Ernst Bloch. Senza speranza non c’è utopia, non c’è progetto. I ragazzi che attraversano mari e paesi in cerca di un futuro migliore il loro progetto ce l’hanno molto chiaro. Dobbiamo capire perché in noi occidentali questo progetto non è altrettanto chiaro. L’essere umano ha sempre bisogno di progettare utopie. Ma tra i giovani d’oggi sento la mancanza di un progetto comune. E l’utopia non può che essere umanitaria, sociale, ma deve partire dal singolo».

di Costanza Morabito

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